alimentazione infortunio

Infortuni: il ruolo dell’alimentazione nella prevenzione

L’infortunio è una cosa con cui bisogna fare i conti quando si pratica sport. Molti atleti hanno sperimentato sulla propria pelle lo spiacevole evento di farsi male per un movimento sbagliato o per un incidente. Come in molti altri ambiti, la prevenzione gioca un ruolo fondamentale nel prevenire un infortunio o nel recupero successivo al trauma.

Come sempre l’alimentazione non è da intendersi come una terapia e non si deve cadere nell’errore di credere che essa abbia il potere magico di preservarci da qualsiasi problema di salute. Inoltre essa è solo uno degli aspetti da curare in tema di prevenzione dagli infortuni e affianca l’importantissimo aspetto della corretta preparazione atletica, centrale in questo ambito. Curare la routine alimentare è un dovere e un’accortezza che non può mancare nella quotidianità di un atleta, sia per migliorare la prestazione, sia per limitare la possibilità di farsi male.

Prevenzione dell’infortunio: la corretta alimentazione

Alla base c’è sempre l’alimentazione corretta. Nutrire con accortezza il proprio corpo non è una cosa da iniziare a fare durante la fase acuta di un problema. Mangiare le cose giuste al momento giusto di giorno in giorno permette di sviluppare muscoli più prestanti che sono in grado di resistere meglio al trauma e a recuperare il tono con più facilità e velocità.

Trascurare una corretta alimentazione significa indebolirsi e di conseguenza il nostro organismo reagirà con maggiore difficoltà a fronte di un qualsasi problema di salute o acciacco , allungando i tempi di recupero e aumentando le possibilità di danni muscolari o ossei.

Come per qualsiasi cosa, anche in tema di infortuni, è l’alimentazione che abbiamo costruito nel quotidiano che ci permette di non aumentare il rischio di farci male.

I nutrienti chiave

L’eccesso di un singolo nutriente non avrà mai l’effetto di migliorare un qualche aspetto della nostra salute o del nostro benessere. Piuttosto è la carenza ad esporre l’organismo a rischi, andando a limitarne le funzionalità che diverrebbero inevitabilmente meno efficienti.

Per quanto riguarda la salute del tessuto muscolare le carenze di proteine, specifici aminoacidi, creatina o omega 3 sembrano avere un ruolo nell’aumentare il rischio di infortunio e provocano una maggiore durata dei tempi di recupero.

Per evitare di alimentarsi con una scarsa scelta di aminoacidi è sufficiente variare la fonte di proteine durante la settimana: non è consigliabile fissarsi sulla carne e soprattutto non su una singola varietà (ad es. pollame), ma è molto importante variare ricordandosi che ottime fonti di proteine sono anche: pesce, legumi, latticini o uova. La creatina è molto presente nella carne rossa ed è diffusa sul mercato sotto forma di integratore da assumere sotto stretto controllo di un esperto della nutrizione. Gli omega 3 sono allo stesso modo diffusi come integratore, ma sono presenti anche nel pesce, nella frutta secca e in diverse tipologie di verdura.

Buona regola è sempre preferire l’assunzione di alimenti per mezzo di cibo piuttosto che pastiglie o altro tipo di integrazione.

L’onnipotenza degli antiossidanti

Gli antiossidanti riempiono spesso le pagine dei blog o la bocca di “esperti” della nutrizione. Vengono troppo frequentemente considerati come una sorta di santo Graal della salute. Tra tutti la vitamina C è da anni al centro di dibattiti che vedono contrapposte fazioni che la ritengono miracolosa e fazioni che la trattano per quello che è: un nutriente importante che svolge il proprio ruolo chiave all’interno dell’organismo quando presente nelle giuste quantità.

Nonostante si sia diffusa la voce che gli antiossidanti giochino un ruolo fondamentale nel recupero da un infortunio, questa correlazione non è mai stata dimostrata e, anzi, sembra, secondo alcune ricerche, che eccessi di antiossidanti possano allungare i tempi del recupero muscolare.

Bibliografia

Turnagol et al, Nutritional Considerations for Injury Prevention and Recovery in Combat Sports, Nutrients. 2022 Jan; 14(1): 53.

vino e salute

Un bicchiere di vino al giorno toglie il medico di torno: è davvero così?

Nelle ultime settimane ha fatto scalpore la notizia che l’Unione Europea abbia dato il via libera all’Irlanda di apporre sulle bottiglie di vino, birra e liquori avvertenze in merito agli effetti negativi che queste bevande hanno sulla salute del consumatore.

Senza entrare nel dibattito politico, penso sia utile fare il punto sulla questione, in merito a presunti effetti positivi dell’alcol.
Vino, birra e spiriti sono parte integrante della nostra tradizione culinaria, ma spesso ne facciamo un consumo poco consapevole. Tuttavia, oltre agli aspetti edonistici e culturali, dobbiamo considerare anche quelli salutistici.

Vino, alcol e salute

È ormai conclamato come in realtà l’assunzione di bevande alcoliche non comporti alcun beneficio per la salute. Si è parlato di possibili effetti protettivi che l’alcol avrebbe nei confronti di alcune malattie, come ad esempio quelle cardiovascolari, tanto da
sostenere che “un bicchiere di vino rosso al giorno faccia bene al cuore”. L’equivoco nasce dal cosiddetto “paradosso francese”.

Negli anni 80 alcuni studiosi avevano notato come tra la popolazione francese ci fosse una minore mortalità per malattie cardiovascolari, nonostante si facesse ampio consumo di formaggi e quindi di grassi saturi e il consumo di vino, soprattutto vino
rosso, fosse molto frequente tra la popolazione. Si è così ipotizzato che il vino rosso fosse il responsabile di questo effetto protettivo e che una moderata assunzione di esso limitasse il sopraggiungere di malattie cardiovascolari.

Studi successivi si sono quindi focalizzati nello studio di quali molecole del vino potessero avere questa azione, tra queste troviamo acidi fenolici, stilbeni, flavonoidi, sostanze antiossidanti e antiinfiammatorie che in realtà sono presenti in quantità significativamente maggiori in frutta e verdura rispetto al vino. Alcuni studi hanno evidenziato come il consumo di piccole quantità di alcol abbia un effetto protettivo nei confronti di alcune patologie cardiovascolari rispetto non solo a chi eccede con l’alcol ma anche a chi è astemio.

vino

L’alcol non toglie il medico di torno


Approfondimenti successivi hanno messo in luce come in realtà chi non consumava alcol aveva un rischio maggiore poiché era sovrappeso o obeso, aveva la pressione alta e non faceva attività fisica. Alcuni studi hanno evidenziato come il consumo di alcol in piccole quantità sia associato ad un minore rischio di cardiopatia ischemica, diabete di tipo 2, ma non per altre patologie come
ipertensione, ictus emorragico, dove a fronte di qualsiasi livello di assunzione di alcool è associato un aumentato del rischio.

In seguito ad altri studi, gli studiosi hanno potuto affermare che in realtà anche un consumo ridotto di alcol di 1 unità alcolica, che sarebbe pari ad 125 ml di vino o 330 ml di birra, non riduce il rischio il rischio di alcun tipo di malattia cardiovascolare
e non ha nessun effetto protettivo sulla salute.

Alcol e cancro


I danni causati dall’alcol non sono solo a carico del sistema cardiovascolare, ma anche del fegato e tutto il sistema digerente, causando infatti esso gastriti, ulcere, cirrosi epatica e anche il cancro. Uno dei principali problemi per cui si consiglia limitare il più possibile il consumo di bevande alcoliche sta proprio nel fatto che l’alcol è stato classificato dalla IARC (Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro) come sostanza tossica e cancerogena, in particolare si classifica nel gruppo 1 delle sostanze “certamente cancerogene per l’uomo”.

Ciò non vuol dire che bere un bicchiere di vino faccia venire automaticamente il cancro, ma berne in grande quantità con una certa frequenza aumenta di molto il rischio che ciò possa accadere. In virtù di tutte queste ripercussioni sulla salute, le Linee Guida nazionali per una Sana Alimentazione pongono le bevande alcoliche tra gli “alimenti voluttuari” per i quali quindi non c’è nessuna raccomandazione di assunzione settimanale, se non quella di non consumarli per niente se si è astemi oppure limitarsi ad un consumo occasionale in moderate quantità.

Per l’alcol infatti non esistono modalità e quantità di assunzione esenti da rischio, esiste semmai una quantità che vien definita “a basso rischio” che si associa a 2 unità alcoliche al giorno per l’uomo adulto e 1 unità al giorno per la donna.

I benefici della convivialità


Per rispondere quindi alla domanda iniziale, la risposta è no, il consumo di vino non allunga la vita. Questo però non deve privarci del tutto del piacere di un buon bicchiere di vino in compagnia di amici. L’alimentazione è un sistema complesso che non esclude gli aspetti legati alla cultura e alla tradizione gastronomica che abbiamo il diritto di preservare ma non di utilizzare come alibi per poter giustificare un consumo smodato.

Gli antichi romani, grandi cultori e consumatori di vino consigliavano nella massima est modus in rebus, un equilibrio, al fine di poter condurre una vita non di privazioni, quanto piuttosto di piccoli e buoni piaceri.

Ma la caffeina invece è dannosa? Clicca qui per scoprirne di più.

frutta e verdura di stagione

Frutta e verdura di stagione sono più sostenibili?


Le Linee Guida per la Sana Alimentazione raccomandano di mangiare almeno 5 porzioni al giorno di frutta e verdura, preferibilmente di stagione. Cosa vuol dire di stagione? Che differenza c‘è tra un prodotto di stagione e non? Seguire la stagionalità crea meno danno all’ambiente?

Frutta e verdura di stagione: facciamo chiarezza


Quando si va al supermercato è diventata prassi trovare una gran varietà di frutta e verdura in ogni periodo dell’anno; fragole, pesche, kiwi, uva, mele sono alcuni esempi di frutta che volendo possiamo acquistare sia d’estate che d’inverno. Spesso, però, ci dimentichiamo che i prodotti vegetali seguono una loro stagionalità e che quindi non dovrebbe essere normale, ad esempio, trovare le albicocche sui banchi a dicembre.

Nonostante gli ormai evidenti cambiamenti climatici, il clima scandisce per frutta e verdura la loro naturale crescita, maturazione e raccolta, permettendo quindi di creare un preciso calendario per ogni tipologia di frutto o pianta. Questo, oltre che rispettare la ciclicità della natura, garantisce anche di ottenere prodotti più gustosi. È bene ricordare, inoltre, che i prodotti freschi stagionali apportano dei vantaggi non solo a noi consumatori, ma anche all’ambiente.

Stagionalità globale e locale

Andiamo per gradi: è importante fare una distinzione tra stagionalità locale e stagionalità globale. La prima si riferisce ad un prodotto la cui zona di produzione e consumo coincidono, ad esempio in Italia i mandarini vengono raccolti in autunno, un mandarino che quindi è stato raccolto a novembre e consumato nelle settimane successive si definisce di stagione locale.

Per stagionalità globale, invece, si fa riferimento ad un prodotto che è stato coltivato in un paese secondo la sua stagionalità ma che non viene poi necessariamente consumato nello stesso luogo dove è stato raccolto, ad esempio i kiwi che troviamo al supermercato in autunno/inverno, sono stati coltivati e raccolti in Nuova Zelanda in coincidenza al loro giusto periodo di coltivazione. Sono stati quindi trasportati in Italia dove appunto non è ancora la loro stagione. Secondo questi due tipi di stagionalità, la scelta più sostenibile risulta essere il prodotto stagionale locale, visto che non deve mettere in conto gli effetti negativi derivanti dal trasporto.

L’impatto ambientale

Secondo gli esperti una scelta più rispettosa dell’ambiente può essere comprare un prodotto locale e stagionale che però non sia stato coltivato in serra. Riguardo l’impatto ambientale è importante fare una distinzione tra i prodotti vegetali in base alle diverse tecniche di produzione. Se paragoniamo le emissioni di gas serra di un prodotto trasportato via aria ma coltivato secondo stagione con quelle di un prodotto coltivato in serra, è il secondo a registrare un’impronta carbonica più alta.

La coltivazione in serra ha sicuramente dei vantaggi, in quanto utilizza meno terreno e pesticidi e riduce lo spreco grazie anche ad alti rendimenti. L’altra faccia della medaglia è che essa esige elevate richieste energetiche per l’illuminazione artificiale, riscaldamento e refrigerazione. Si stima che gli impatti derivanti dalla coltivazione in serra possono arrivare ad essere il doppio di quelli prodotti dal trasporto.

Ad esempio: le mele coltivate ad ottobre spesso le ritroviamo nell’agosto successivo perché sono state refrigerate per ritardarne la maturazione. Forse vi stupirà scoprire che questa pratica inquina di più rispetto a raccogliere localmente e stagionalmente le mele in Nuova Zelanda per poi commercializzarle e mangiarle in Europa.

I vantaggi per i consumatori: acquistare o no frutta e verdura di stagione?


Ma veniamo ai vantaggi per noi consumatori, perché è più conveniente acquistare e consumare prodotti di stagione? Sono sostanzialmente due i motivi. Il primo: ci guadagna “il nostro portafoglio”. I prodotti di stagione proprio perché di stagione hanno ottime rese e soprattutto non richiedono gli stessi costi di una coltivazione in serra, sono quindi più economici!

La seconda motivazione, ma non meno importante, è che i prodotti di stagione sono anche più nutrienti, molti studi infatti testimoniamo come durante la conservazione alcuni livelli di micronutrienti si abbassano, il valore nutrizionale della frutta e della verdura infatti è più alto immediatamente dopo la raccolta e diminuisce via via nel tempo durante refrigerazione, trasporto e immagazzinamento (si parla comunque di perdite minime se confrontate con i benefici complessivi derivanti dal consumo di frutta e verdura).


Ricapitolando, questi sono i 4 consigli per acquistare frutta e verdura riducendo le emissioni di gas serra:

  1. Riduci l’acquisto di cibi altamente deperibili fuori stagione e trasportati per via aerea come ciliegie, frutti tropicali, asparagi. Cerca sempre di acquistare prodotti italiani (o Europei) ma di stagione.
  2. Impara a riconoscere frutta e verdura di stagione. Seguendo questo link puoi trovare una mappa interattiva che ti permette di conoscere la stagionalità di frutta e verdura in base al Paese di coltivazione, stagione e mese.
  3. Riduci l’acquisto di prodotti mediterranei fuori stagione coltivati in serre. Ad esempio, se a dicembre trovi delle fragole provenienti dalla Puglia quasi sicuramente derivano da una produzione in serra.
  4. Riduci i prodotti già pronti come insalate in busta o frutta già affettata in vaschette.

Bibliografia:
CREA, 2018. Linee guida per una sana alimentazione. https://www.crea.gov.it/documents/59764/0/LINEEGUIDA+DEFINITIVO.pdf/28670db4-154c-0ecc-d187-1ee9db3b1c65?t=1576850671654
EUFIC, 2020. La frutta e la verdura di stagione sono migliori per l’ambiente? https://www.eufic.org/it/vita-sana/articolo/la-frutta-e-la-verdura-di-stagione-sono-migliori-per-lambiente#ref5
Theurl, M. C., Haberl, H., Erb, K. H., & Lindenthal, T. (2014). Contrasted greenhouse gas emissions from local versus long-range tomato production. Agronomy for Sustainable Development, 34(3), 593-602.

Menopausa: perchè si ingrassa?

Per molte donne il sopraggiungere della menopausa può essere motivo di ansia e preoccupazione. Uno degli aspetti che contribuisce a rendere questa fase di vita allarmante è questione bilancia: la menopausa sembra essere una condanna all’aumento del peso e conseguente peggioramento della salute e della forma fisica.

Ma da che cosa dipende questo cambiamento? La menopausa coincide con un riarrangiamento di alcuni ormoni come l’ormone follicolo stimolante (FSH) ed estradiolo. I cambiamenti dell’assetto ormonale possono sì incidere sul metabolismo, ma è veramente questa la causa?

Menopausa: una condanna per quanto riguarda il peso?

Sono stati fatti diversi studi volti ad approfondire le cause dell’aumento di peso in donne che si avvicinano o che raggiungono la menopausa. Le osservazioni sono state fatte da diverse prospettive ed è interessante analizzare soprattutto due di queste: il cambiamento nell’assetto ormonale e il conseguente cambiamento dello stile di vita.

Innanzitutto è stato osservato come l’aumento di peso si assesti attorno ad una media che va dai 2,1 Kg ai 5 Kg in totale. Questa variazione è stata collegata al riarrangiamento ormonale di cui sopra, ma non tanto per una variazione metabolica. La causa efficiente dei chili guadagnati è un cambiamento dello stile di vita stimolato dalla riduzione dell’estradiolo e l’aumento dell’FSH. Diverse ricerche a partire dagli anni ’90 hanno evidenziato come col sopraggiungere della menopausa le donne tendano a mangiare di più e a muoversi di meno.

Un’aumento delle quantità a tavola in combinazione con una riduzione dell’attività fisica è la ricetta perfetta per mettere su qualche chilo. La buona notizia è che, essendo principalmente causato dallo stile di vita, l’ingrassamento anche in questo caso non è una condanna ma una condizione che può essere tranquillamente tenuta sotto controllo.

menopausa

Alcuni consigli per gestire il peso in menopausa

“Prevenire è meglio che curare” è un detto che anche in questo caso si dimostra efficace. La ricerca ha dimostrato come le donne sovrappeso in menopausa siano aumentate negli anni. Questo però non è dovuto alla scomparsa del ciclo mestruale, quanto piuttosto ad un aumento generale dell’obesità nella popolazione. Affrontare una fase in cui il corpo non fa altro che dirci “mangia” ribellandosi a qualsiasi tipo di sforzo in una condizione già di sovrappeso e scarsa attività è sicuramente deleterio.

Il consiglio più efficace è quindi quello di arrivare preparate e mantenere il proprio corpo attivo in tutte le fasi di vita. Basta veramente poco per fornire all’organismo i giusti stimoli: 20 minuti di esercizio fisico al giorno abbinati al rifiuto di ascensore e mezzi per le brevi distanze.

Tuttavia in qualsiasi momento l’essere sovrappeso è una condizione reversibile, per quanto invecchiare lo renda un processo più complicato per entrambi i sessi. Le donne che dovessero raggiungere la menopausa in condizioni anche di obesità non devono quindi rassegnarsi: la soluzione esiste.

Menopausa ed obesità

La gestione dell’obesità in menopausa non è certamente un qualcosa di banale. Devono essere messi in conto diversi aspetti dei soggetti: condizioni di salute, condizioni psicologiche, qualità del sonno ed ovviamente stile di vita. E’ stato evidenziato come la soluzione migliore per le donne che si ritrovano in questa condizione sia una dieta a bassissima energia (VLED).

Questo protocollo prevede una dieta a dosaggio calorico minimo (circa 800) abbinata ad una dose personalizzata di attività fisica. L’accoppiata porta l’organismo ad esaurire il glicogeno (prima fonte di energia in caso di carestia) e di conseguenza ad affidarsi al consumo del grasso di deposito per far fronte ai consumi quotidiani. La condizione metabolica che viene a crearsi in circa due giorni porta ad un abbattimento della fame e conseguente facile gestione del piano alimentare da parte della paziente. E’ chiaro come si tratti di un trattamento drastico che non va assolutamente iniziato in autonomia, ma sempre sotto la supervisione di un professionista.

Bibliografia

Proietto J., Obesity and weight management at menopause, Australian Family Physician, Volume 46, Issue 6, June 2017

intestino irritabile

Intestino irritabile: esiste una dieta efficace?

L’intestino irritabile è una sindrome estremamente diffusa, spesso motivo di disagio per coloro i quali ne sono affetti. Molto frequentemente il nutrizionista entra in contatto con pazienti che lamentano di soffrirne e che richiedono una dieta personalizzata che possa attenuarne i sintomi. Esiste quindi una dieta efficace contro il destino irritabile? La scienza ha alcune risposte in merito.

Low FODMAP: una dieta contro l’intestino irritabile

Di fronte a questa sindrome la risposta dietetica principe è la low FODMAP: un regime alimentare che punta all’eliminazione, o alla stretta limitazione, di alcuni alimenti identificabili come carboidrati a catena corta. In particolare con FODMAP si intende: oligo-, mono- , di-saccaridi e polioli fermentabili. Parliamo dunque di molecole quali lattosio, fruttosio, polialcoli e altri carboidrati contenuti in diverse varietà di alimenti.

Questa dieta è stata codificata dalla Monash University ed è tra le più efficaci nell’alleviare i sintomi del colon irritabile. Essa viene applicata di routine sui pazienti attraverso un ciclo che prevede l’eliminazione di tutti i cibi contenenti le molecole sopracitate per circa due mesi per poi, monitorando la risposta dell’organismo, reintrodurli gradualmente.

A livello pratico la limitazione riguarda le seguenti categorie di cibo:

  • Dolcificanti
  • Legumi
  • Latticini
  • Alimenti contenenti glutine (pasta, pane e i derivati del frumento)
  • Frutta secca
  • Alcune varietà di frutta e verdura

L’intervento di un nutrizionista o medico diventa quindi decisivo per riequilibrare un piano nutrizionale che sia completo pur privo di tutte queste categorie di alimenti. A partire dalla sesta/ottava settimana, qualora vi sia una remissione dei sintomi, si procede con la graduale reintroduzione.

La low FODMAP non è assolutamente una dieta pensata per chi ricerca il dimagrimento, ma è specifica per chi soffre di sindrome dell’intestino irritabile.

Spostando il focus sui cibi che invece possono essere consumati possiamo citare: mais, riso, bevande vegetali di soia, frutta come: banane, mirtilli, pompelmo, uva; verdura come: peperoni, melanzane, fagiolini, lattuga; formaggi stagionati. Ovviamente possono essere consumate anche fonti proteiche come carne, pesce e uova.

dieta intestino irritabile

Low FODMAP: quanto è efficace contro l’intestino irritabile?

L’università di Melbourne ha condotto una ricerca che mettesse a confronto questo approccio con altri piani alimentari riconosciuti per avere effetti rilevanti contro questa fastidiosa sindrome. In particolare sono state confrontate: dieta mediterranea, dieta senza glutine e approcci non nutrizionali come yoga e ipnoterapia.

Lo studio ha evidenziato risultati nettamente più incoraggianti da parte della low FODMAP rispetto agli altri approcci o rispetto a terapie con probiotici o alimentazione standard. In particolare le statistiche ci dicono che la dieta elaborata dalla Monasch University ha un’efficacia del 70%. Nulla vieta, nel caso in cui questo regime alimentare non funzionasse, di provare con altre soluzioni anche combinate.

Diagnosi e “fai da te”

La sindrome dell’intestino irritabile non è un disturbo che viene auto-diagnosticato. Fondamentale è infatti la figura del medico nell’individuazione dei sintomi e nell’escludere altre patologie attraverso una diagnosi differenziale. Qualora ciò sia stato fatto, è consigliabile recarsi da uno specialista della nutrizione (come il medico stesso) che individui l’approccio corretto da applicare alla persona. Esistono diversi sotto-tipi di low FODMAP e ciascuno può essere adattato su misura alle esigenze e caratteristiche dei singoli pazienti. Il fai da te, soprattutto in questo caso, può essere inefficace come anche controproducente.

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Fonti

Manning et al, Therapy of IBS: Is a Low FODMAP Diet the Answer?, Front. Psychiatry, 31 August 2020, Sec. Psychological Therapy and Psychosomatics, https://doi.org/10.3389/fpsyt.2020.00865

Jacqueline S Barrett, How to institute the low-FODMAP diet, J Gastroenterol Hepatol,  2017 Mar;32 Suppl 1:8-10. doi: 10.1111/jgh.13686.

Monash University: low FODMAP

anti-ossidanti avocado

Le proprietà anti-ossidanti dell’avocado

Nonostante il devastante impatto ambientale di cui viene tacciato, l’avocado è un alimento che sta prepotentemente entrando nelle tavole degli italiani. Che sia crudo, in insalata o sotto-forma di guacamole, l’avocado riesce a soddisfare anche i palati più restii e convince nutrizionisti e medici per via di diverse qualità organolettiche. Si tratta di un frutto estremamente grasso che nell’economia di un piano alimentare strutturato funge da fonte di Omega- 3.

Avocado: un anti-ossidante naturale

L’avocado è il frutto della pianta Persea americana (P. americana). Ogni anno vengono prodotte più di 3 milioni di tonnellate di avocado che vengono consumati avidamente in tutto il mondo. Tralasciamo, in questo discorso, tutte le implicazioni ambientali che, tuttavia, non devono essere ignorate durante la spesa. A tavola, si consuma esclusivamente la polpa del frutto, scartando il grosso nocciolo e la buccia. L’intera P. americana è ricca di anti-ossidanti, ma solamente quelli contenuti nella polpa sono di interesse per un’alimentazione che contenga al suo interno questo frutto.

Sono stati condotti moltissimi esperimenti, soprattutto sulla varietà Hass, la più diffusa in nord America. Questi studi sono stati ripetuti e affrontati e con molte tecniche diverse, il che rende i dati prodotti verosimili.

Le evidenze mostrano la presenza di composti fenolici come acidi fenolici e idrossinnamici, flavonoidi e tannini. Oltre a questi sono presenti anche carotenoidi, tocoferoli e, come anticipato prima, acidi mono e poli insaturi. La maggior parte di questi studi, inoltre, ha evidenziato significative correlazioni tra i composti fenolici e la funzione anti-ossidante dell’avocado. A queste molecole viene attribuito l’effetto di arginare l’ossidazione e limitare infiammazione e la aggregazione piastrinica.

anti-ossidanti avocado

Avocado maturo o acerbo?

Vi è un paradosso sulle proprietà anti-ossidanti di questo alimento: la polpa, unica parte che viene portata a tavola, presenta molte meno molecole da proprietà anti-ossidanti rispetto a buccia, seme e pianta. Gli estratti di queste tre componenti infatti hanno presentato una concentrazione molto maggiore rispetto all’estratto della polpa. In particolare sono i semi ad avere la maggior quantità di anti-ossidanti, grazie alla massiccia presenza di: catechine, epicatechine, leucoantocianidine, triterpeni, acido furoico e proantocianidine.

Anche il livello di maturazione incide sulla concentrazione e il frutto più maturo presenta una quantità maggiore di tutti i componenti sopra-citati. Questo è dovuto a processi chimici che avvengono sia all’interno del frutto che della pianta. Essi portano alla sintesi di una maggiore quantità di composti anti-ossidanti.

La maggior parte degli esperimenti consistono in una mera misurazione quantitativa e qualitativa dei composti citati. Il processo metabolico che li coinvolge, una volta assunti mangiando l’avocado, va approfondito. E’ tuttavia un dato di fatto che questo frutto esotico, ormai diventato parte integrante dell’alimentazione di molti di noi, abbia un effetto positivo sull’organismo.

Bibliografia

Bhuyan et al, The Odyssey of Bioactive Compounds in Avocado (Persea americana) and Their Health Benefits, Antioxidants (Basel) 2019 Sep 24;8(10):426. doi: 10.3390/antiox8100426.

integrazione esports

E-Sports: quali integratori assumere?

Gli e-sports sono in piena ascesa e la ricerca sta cercando di capire come l’alimentazione possa contribuire al meglio per migliorare le prestazioni. Ponendo sempre alla base dello stile di vita alimentare una corretta organizzazione dei pasti, anche gli integratori possono avere un ruolo determinante. Non bisogna considerare l’integrazione come una ricetta magica in grado di cambiare le performance in maniera netta, quanto piuttosto come una rifinitura rispetto il piano nutrizionale di base.

integrazione esports

Integratori e e-sports

Caffeina

La caffeina è sicuramente la prima molecola a cui si pensa per migliorare le prestazioni cognitive. Non solo: essa è ampiamente dimostrato come sia molto efficace anche in ambito sportivo per molteplici effetti, come miglioramento dei tempi di reazione, concentrazione e diminuzione del senso di fatica. Anche in ambito e-sports sono stati fatti degli studi sulla caffeina ed essi hanno dimostrato un netto miglioramento dell’attenzione e tempi di reazione accorciati. Negli sparatutto in prima persona (es. Counter-Strike: Global Offensive, Valorant, APEX Legends) gli e-atleti hanno perfino migliorato la mira. I risultati si sono dimostrati positivi anche nei MOBA (es. League of Legends, Dota).

Teanina

La teanina ha importanti effetti sulle funzionalità cognitive. Essa consiste in un aminoacido molto presente nelle foglie di tè. Specialmente se in combinazione con caffeina, la teanina è in grado di aumentare concentrazione, memoria, buon umore e riflessi. Anche in combinazione con tirosina ha effetti interessanti: tirosina, caffeina e teanina assieme migliorano tempi di reazione durante sforzi prolungati e intensi. Anche in questo caso l’integrazione è consigliata per e-atleti di MOBA e sparatutto in prima persona.

Polifenoli

I polifenoli sono fondamentali per preservare i neuroni. Esistono diverse categorie di polifenoli e possono essere definiti come anti-ossidanti e anti-infiammatori naturali. Un’assunzione ideale di questi nutrienti aumenta velocità e concentrazione, oltre a funzionalità generali dell’organismo. In particolare i flavonoli del cacao possiedono effetti benefici in sintonia con le esigenze degli e-atleti.

Altri integratori

Il succo di barbabietola diminuisce i tempi di reazione durante esercizi ripetitivi prolungati. La creatina è un’integratore che andrebbe assunto ciclicamente da ogni professionista e-sports. Essa infatti riduce l’affaticamento mentale, aumenta i punteggi nei test del quoziente intellettivo, migliora l’umore e diminuisce i tempi di reazione. Fondamentale l’assunzione di creatina nei periodi di maggiore stress, come quelli che anticipano un torneo importante.

Visto lo stress arrecato al sistema nervoso, chi pratica discipline elettroniche è soggetto a deterioramento delle funzionalità cognitive. In tal senso è importante assumere probiotici e prebiotici sia all’interno del piano nutrizionale sia, eventualmente, mediante integrazione.

Hanno effetti benefici sostanze come la luteina, che preservano e migliorano le attività legate alla vista. Sono ovviamente consigliate per migliorare le prestazioni sostanze nootropiche naturali attraverso l’assunzione di: Gingko biloba, curcumina o ginseng (oltre alla caffeina).

integratori esports

Conclusioni

L’integrazione nelle discipline e-sports può aumentare le performance, se inserita all’interno di una dieta sana ed equilibrata. In generale vengono consigliate tutte quelle sostanze e alimenti che siano in grado di preservare o sfruttare al meglio le potenzialità del sistema nervoso. Ciascuna delle proposte riportate va assunta previa confronto con medico, nutrizionista o altri esperti della nutrizione. Inoltre è sempre bene tenere a mente che l’integrazione non ha effetti magici, ma è solamente un modo per compensare possibili scompensi all’interno della dieta quotidiana in relazione agli obiettivi giornalieri.

Bibliografia

  • García-Lanzo, S.; Bonilla, I.; Chamarro, A. The psychological aspects of electronic sports: Tips for sports psychologists. Int. J.
    Sport Psychol. 2020, 51, 613–625.
  • Rosell Llorens, M. Sport Gaming: The Rise of a New Sports Practice. Sport Ethics Philos. 2017, 11, 464–476.
  • Szot et al, Can Nutrients and Dietary Supplements Potentially Improve Cognitive Performance Also in Esports?, Healthcare 2022, 10, 186. https://doi.org/10.3390/healthcare10020186
proteine body building

Proteine: la quantità giusta per aumentare la massa

Quando si parla di body-building uno degli argomenti più discussi e controversi è quello legato alle proteine. Il quantitativo in grammi che ognuno dovrebbe mangiare nell’arco di una giornata per avere una crescita sana e regolare dei muscoli dipende da numerosi fattori. Intensità e durata degli allenamenti, peso corporeo, età, composizione corporea sono solo alcuni degli aspetti che bisogna tenere in considerazione per determinare il quantitativo in grammi di proteine da assumere.

La ricerca scientifica si è mossa in tal senso andando ad esaminare sia la quantità ideale di proteine da consumare in un pasto, sia il limite oltre il quale non bisogna spingersi per evitare di appesantire l’organismo con lo smaltimento degli aminoacidi. Vi sono delle dosi, infatti, oltre le quali non solo è inutile andare, ma che potrebbero causare problemi sistemici all’organismo.

proteine massa magra

Proteine: quanti grammi ogni pasto?

Quando parliamo di grammatura per un dato macronutriente è necessario porre una premessa fondamentale. Assumere proteine in polvere ha un impatto sull’organismo diverso rispetto ad assumerne lo stesso quantitativo all’interno di un pasto completo. La composizione stessa del pasto influisce, e non poco, su durata e modalità di assimilazione degli aminoacidi che compongono le proteine.

Gli studi scientifici sono stati fatti soprattutto prendendo in esame proteine il polvere, anche perchè calcolare le variabili date da un pasto completo è praticamente impossibile. Sulla base dei risultati emersi, quindi, quante proteine bisogna assumere ogni pasto?

La risposta è che non è corretto parlare di numeri precisi ed assoluti ma vanno considerati intervalli che prendano in considerazione aspetti già citati in precedenza: età, allenamenti, obiettivi, composizione corporea. Ad ogni pasto per assimilare al meglio le proteine ingerite bisognerebbe mantenersi tra i 0,4 e i 0,6g/kg di peso corporeo. Un giovane di 60kg che pratica resistenza contro peso 3/4 volte a settimana per 40 minuti quindi dovrebbe mangiare circa 25/30g di proteine per pasto, meglio se proteine derivanti da cibo e non da integratori. Pasti completi infatti rallentano l’assimilazione, permettendo al corpo di non trovarsi in una condizione di eccesso che lo porterebbe ad aumentare lo smaltimento in sfavore di un investimento degli aminoacidi ingeriti.

Qual è la quantità giornaliera ideale?

Una volta definito il quantitativo di proteine ideale per pasto, bisogna determinare quale sia il limite giornaliero e la dose consigliata. Per aumentare la massa magra è necessario trovarsi in una condizione di dieta ipercalorica, altrimenti l’organismo tenderà a smontare tessuti per ricavare energia piuttosto che investire quest’ultima per costruirne di nuovi. Inoltre per indirizzare l’energia verso la costruzione di massa magra è necessario che su base settimanale vi siano degli allenamenti che mettano sotto sforzo i muscoli, meglio se concordati con un esperto.

In queste condizioni il quantitativo di proteine ideale da consumare di giorno in giorno si assesta attorno al 1,6g/kg di peso corporeo. Questo può essere indicato come il punto di partenza: con l’avanzare dell’età, allenamenti più intensi e ulteriori aspetti che comportino un maggiore deterioramento delle fibre muscolare ci si può spingere fino ai 2/2,2g/kg di peso corporeo. Oltre questi quantitativi la ricerca ci dice che l’assimilazione cesserebbe e i residui sintetizzati dallo smaltimento degli aminoacidi metterebbero sotto stress l’organismo.

La gestione di sonno e assunzione di caffeina è fondamentale per degli allenamenti di qualità, non trascurare questi aspetti del tuo stile di vita.

Bibliografia

lipedema nutrizione

Lipedema e alimentazione: esiste una relazione?

Il lipedema è un disturbo che colpisce quasi esclusivamente le donne e riguarda il tessuto adiposo sottocutaneo. Esso prende di mira soprattutto la parte bassa del corpo, in particolar modo le gambe e i fianchi. Questo disturbo cronico è motivo di disagio per molte persone che spesso ricorrono anche a soluzioni chirurgiche per risolvere o arginare il problema.

Nel lipedema sembra esserci una forte componente infiammatoria che può essere aggravata attraverso un’alimentazione disordinata, poco attenta o improvvisata. Per questo motivo spesso medici e nutrizionisti scelgono approcci anti-infiammatori che possano in qualche modo limitare questa fastidiosa componente del disturbo.

dieta chetogenica e lipedema

Lipedema, protocollo RAD e dieta chetogenica

Partiamo subito con il mettere in chiaro le cose: l’alimentazione non è una soluzione al problema, quanto piuttosto un modo per alleviare i sintomi. In letteratura non sono ancora presenti articoli determinanti che abbiano stabilito un protocollo nutrizionale predefinito per il lipedema.

Uno degli approcci raccomandati è il protocollo RAD (rare disease disorders), che raccomanda di evitare glutine, latte, soia e alimenti ricchi di fito-estrogeni. Viene consigliata anche l’assunzione di Omega 3 EPA/DHA. Bisogna tuttavia sottolineare come questo protocollo non abbia basi scientifiche solide che lo rendano clinicamente valido.

La dieta chetogenica, a sua volta, si è dimostrata efficace nel contenere i sintomi da lipedema. Questa categoria di diete prevede un’assunzione estremamente limitata di carboidrati (meno di 30g al giorno o meno del 10% delle calorie totali) ed un rapporto grassi : proteine spesso a favore dei primi, ma variabile sulla base della persona.

L’integrazione anche in questo caso può svolgere un ruolo chiave. Innanzitutto nell’economia di un piano nutrizionale chetogenico ci sono spesso integratori di base che vengono dati per sopperire alla quasi mancanza di carboidrati. Non avendo la possibilità di consumare frutta durante la giornata, chi segue questa tipologia di dieta spesso ricorre a integratori multivitaminici, sali minerali ed, a volte, fibre alimentari. Oltre a questi vi sono integratori che si sono rivelati utili per il trattamento del lipedema. Oltre ai già citati Omega 3 (EPA/DHA), la vitamina C è un micronutriente molto utile quando si ha a che fare con condizioni infiammatorie. All’interno di una dieta chetogenica spesso l’acido ascorbico (la molecola identificata come Vitamina C) è limitato, pertanto integrarlo è un’ottima idea.

Altri integratori utili quando si parla di lipedema sono l’N-acetil-cisteina e la diosmina che hanno un ruolo nel limitare il circolo dei radicali liberi ed hanno quindi un ruolo anti-ossidante.

omega 3 e lipedema

Conclusioni

Il lipedema è un disturbo con una forte componente infiammatoria. Alla luce di questo è fondamentale seguire un piano nutrizionale strutturato che in qualche modo limiti questo aspetto e, anzi, vada a contrastarlo. Bisogna ribadire come l’alimentazione sana e corretta non sia una cura del problema, quanto piuttosto un modo per aiutare a contrastarlo o per alleviarne i sintomi. In tal senso la dieta chetogenica sembra essere l’approccio più funzionale.

Bibliografia:

Cannataro, Roberto & Cione, Erika. (2020). Lipedema and Nutrition: What’s the Link?. 4. 86-89.

sali minerali e vitamine

Vitamine e sali minerali per combattere la stanchezza estiva

Il caldo in Italia ha raggiunto livelli problematici e sta causando disagi sia ambientali che metabolici. Con temperature così alte molte persone soffrono di stanchezza e spossatezza, soprattutto nelle prime ore della giornata. Vitamine e sali minerali possono aiutare in tal senso, andando a compensare gli sforzi che l’organismo mette in atto per far fronte al caldo torrido.

Vitamine e sali minerali: a cosa servono

L’organismo di qualsiasi essere vivente porta a termine le proprie attività grazie ad una costante produzione, e di conseguenza consumo, di energia. L’energia viene impacchettata ed investita sotto forma di ATP, la valuta biologica dell’energia. Nell’uomo l’ATP viene sintetizzata principalmente a partire dal glucosio, attraverso 3 pathway metabolici: glicolisi, ciclo di Krebs e fosforilazione ossidativa. Proteine e grassi possono a loro volta entrare all’interno di questi pathway per vie trasverse, contribuendo anch’essi alla produzione di energia. Queste vie sono complesse e si incastrano in una rete metabolica (metaboloma) estremamente fitta ed intricata. Al fine di permettere all’intero sistema di funzionare al meglio sono necessari diversi elementi e tra questi sali minerali, vitamine e tutti gli altri micronutrienti trovano ruolo e funzione che li rendono così importanti.

sali minerali e vitamine estate

Seppur dunque vitamine, ferro, magnesio, sodio e tutti gli altri micronutrienti non forniscano energia in maniera diretta, essi hanno un ruolo centrale nel ricavarla dai macronutrienti che compongono la dieta di qualsiasi essere umano. Una dieta varia e che comprenda quanti più alimenti possibili è fondamentale per non trovarsi in una condizione di deficienza rispetto ad uno o più di questi componenti fondamentali del nostro metabolismo. Una condizione di carenza mette inevitabilmente sotto stress le cellule che devono entrare in uno stato di “risparmio” e riciclo per riuscire a far fronte alla domanda energetica in cui si trovano costantemente.

Combattere la stanchezza estiva

Il caldo e l’umidità, con conseguente aumento della sudorazione, porta l’organismo in uno stato di carenza di sali minerali. Questa condizione è la principale causa della spossatezza estiva che può colpire chiunque, anche giovani e sportivi. Una dieta equilibrata e varia è il primo passo per limitare questa condizione, tuttavia in certi momenti della giornata ed in certe fasi della stagione essa può non bastare. Affidarsi a degli integratori di magnesio e potassio è sicuramente la soluzione più semplice, cercando di capire quale dosaggio sia più adatto alle proprie necessità. La consulenza di un medico o un nutrizionista può essere d’aiuto in tal senso.

Al pari dei sali minerali anche le vitamine sono necessarie per un corretto funzionamento cellulare. Al pari dei sali minerali, una dieta varia è spesso sufficiente per assumere tutte quelle necessarie, tuttavia in alcuni casi può non bastare o può non essere possibile assumere certe categorie di alimenti. In tal caso possono essere d’aiuto gli integratori multivitaminici. Anche in questo caso il dosaggio andrebbe concordato con medico o nutrizionista, tenendo presente che nella maggior parte dei casi la dose consigliata di “una pastiglia al giorno” è eccessiva rispetto alla dieta seguita.

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Conclusioni

L’Estate è una stagione molto spesso legata alle vacanze ed al tempo passato in famiglia, attività che possono risultare pesanti se fatte in condizioni di debolezza e stanchezza. Anche il sonno può essere problematico per via delle alte temperatura e la caffeina è per molti la soluzione per far fronte alla giornata. Eccessi di questa molecola possono tuttavia contribuire ad uno scompenso dei micronutrienti che porta ad ottenere l’effetto opposto rispetto a quelli desiderati.

Quando ci si alza dal letto puntare subito al caffè o al tè può non essere la soluzione per una giornata energica, progettare e capire come integrare la giusta quantità di sali minerali e vitamine durante la giornata può essere invece la chiave di volta per risolvere la spossatezza estiva.

Bibliografia:

Huskisson et al, The Role of Vitamins and Minerals in Energy Metabolism and Well-Being, The Journal of International Medical Research, 2007; 35: 277 – 289