dieta chetogenica

Perchè la dieta chetogenica non ha funzionato?

Negli ultimi anni la dieta chetogenica ha preso piede su più fronti nel campo della nutrizione. Nonostante sia nata per il trattamento di pazienti epilettici, il suo potere dimagrante ha aumentato di molto il fascino nei suoi confronti. Dal trattamento dell’obesità, fino ad arrivare al diabete, questo approccio alimentare sembra un passe-partout di soluzioni per problematiche in qualche modo legate al peso.

Nonostante questo la letteratura scientifica non promuove a pieni voti questo approccio. Proviamo ad approfondire i lati più oscuri della dieta chetogenica.

Dieta chetogenica: uno strumento, non una soluzione

Per riparare un computer rotto non basta il pezzo di ricambio. Sono richiesti lo sforzo di sostituire il componente difettoso, gli attrezzi necessari e soprattutto la competenza nel farlo. La dieta chetogenica, come qualsiasi altro approccio alimentare, è uno strumento con cui ottenere un risultato, non l’intera soluzione.

La dieta molto spesso diventa lo strumento con cui il professionista educa il paziente ad un nuovo approccio al cibo, che gli consenta di affrontare un vero e proprio cambiamento di vita. L’efficacia di una dieta, e questa cosa viene spesso trascurata, non è data dal numero di chili persi, ma dal peso mantenuto sul lungo periodo. Il lavoro che deve essere fatto non è dunque basato sul sacrificio, ma sulla sostenibilità del nuovo stile di vita a cui si ambisce.

Una ricerca fatta nel 2021 (Spreckley et al) ha dimostrato come il mantenimento del peso sia legato soprattutto a fattori estrinseci alla dieta, che sostengono il paziente ad essere disciplinato nel seguire le linee guida alimentari.

Valutare i risultati nella maniera giusta

Cosa rende la dieta chetogenica a volte fallimentare? Una dieta di questo tipo non è sostenibile a lungo termine. Sono emerse in letteratura diverse problematiche relative a diete super restrittive per una persona che non richiede interventi drastici (vedi epilettici). I valori riscontrabili attraverso semplici esami del sangue, dopo un periodo superiore ai 6-8 mesi, sono spesso poco incoraggianti. Questo aspetto rende diete come la chetogenica difficili da gestire sul lungo termine e quindi poco utili sotto l’aspetto rieducazionale del paziente.

Perdere 10 chili in due mesi per poi rimetterne su 8 nei sei successivi non è un risultato particolarmente positivo, soprattutto per una persona obesa o al limite dell’obesità. La perdita netta è di due chili in otto mesi.

Perdere invece un chilo al mese per otto mesi mi da un risultato netto di otto chili persi, cioè quattro volte il risultato precedente. Sul lungo termine un dimagrimento lento rende anche più facile il mantenimento perché non è subordinato ad uno sforzo da parte del paziente, ma è una conseguenza del cambiamento di stile di vita.

La dieta chetogenica rimane in ogni caso un valido strumento che va applicato in situazioni in cui può essere effettivamente utile, non indiscriminatamente.

Cosa vuol dire educazione alimentare?

Educazione alimentare non significa solo distinguere carboidrati, grassi e proteine o abbinarli nella maniera giusta per abbassare l’indice glicemico dei pasti. Dare le giuste priorità è la parte essenziale. Quando il cibo va considerato come strumento sociale (aperitivi, cene, feste) e quando no? Quando posso permettermi di non badare alla dieta e perché? Sono tutte domande che meritano risposta. Una risposta che si trova solo sviscerando le proprie priorità assieme ad un professionista che faccia da guida.

Lo strumento con cui questa educazione viene trasmessa è sopratutto il piano alimentare, che deve essere elastico e malleabile a seconda del momento di vita che il paziente sta affrontando e a seconda delle sue necessità e bisogni. Non esiste una dieta predefinita che vada bene ad una singola persona per tutto il corso della sua vita.

La dieta chetogenica, come tutte le altre diete rigide e restrittive, non permette di approfondire questo tema ed abbassa di conseguenza le probabilità di mantenimento del peso una volta che ci si sposta verso un’alimentazione equilibrata.

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Bibliografia

  • Spreckley et al, Perspectives into the experience of successful, substantial long-term weight-loss maintenance: a systematic review, Int J Qual Stud Health Well-being. 2021; 16(1): 1862481
  • Tahreem et al, Fad Diets: Facts and Fiction, Front Nutr. 2022; 9: 960922.
intestino irritabile

Intestino irritabile: esiste una dieta efficace?

L’intestino irritabile è una sindrome estremamente diffusa, spesso motivo di disagio per coloro i quali ne sono affetti. Molto frequentemente il nutrizionista entra in contatto con pazienti che lamentano di soffrirne e che richiedono una dieta personalizzata che possa attenuarne i sintomi. Esiste quindi una dieta efficace contro il destino irritabile? La scienza ha alcune risposte in merito.

Low FODMAP: una dieta contro l’intestino irritabile

Di fronte a questa sindrome la risposta dietetica principe è la low FODMAP: un regime alimentare che punta all’eliminazione, o alla stretta limitazione, di alcuni alimenti identificabili come carboidrati a catena corta. In particolare con FODMAP si intende: oligo-, mono- , di-saccaridi e polioli fermentabili. Parliamo dunque di molecole quali lattosio, fruttosio, polialcoli e altri carboidrati contenuti in diverse varietà di alimenti.

Questa dieta è stata codificata dalla Monash University ed è tra le più efficaci nell’alleviare i sintomi del colon irritabile. Essa viene applicata di routine sui pazienti attraverso un ciclo che prevede l’eliminazione di tutti i cibi contenenti le molecole sopracitate per circa due mesi per poi, monitorando la risposta dell’organismo, reintrodurli gradualmente.

A livello pratico la limitazione riguarda le seguenti categorie di cibo:

  • Dolcificanti
  • Legumi
  • Latticini
  • Alimenti contenenti glutine (pasta, pane e i derivati del frumento)
  • Frutta secca
  • Alcune varietà di frutta e verdura

L’intervento di un nutrizionista o medico diventa quindi decisivo per riequilibrare un piano nutrizionale che sia completo pur privo di tutte queste categorie di alimenti. A partire dalla sesta/ottava settimana, qualora vi sia una remissione dei sintomi, si procede con la graduale reintroduzione.

La low FODMAP non è assolutamente una dieta pensata per chi ricerca il dimagrimento, ma è specifica per chi soffre di sindrome dell’intestino irritabile.

Spostando il focus sui cibi che invece possono essere consumati possiamo citare: mais, riso, bevande vegetali di soia, frutta come: banane, mirtilli, pompelmo, uva; verdura come: peperoni, melanzane, fagiolini, lattuga; formaggi stagionati. Ovviamente possono essere consumate anche fonti proteiche come carne, pesce e uova.

dieta intestino irritabile

Low FODMAP: quanto è efficace contro l’intestino irritabile?

L’università di Melbourne ha condotto una ricerca che mettesse a confronto questo approccio con altri piani alimentari riconosciuti per avere effetti rilevanti contro questa fastidiosa sindrome. In particolare sono state confrontate: dieta mediterranea, dieta senza glutine e approcci non nutrizionali come yoga e ipnoterapia.

Lo studio ha evidenziato risultati nettamente più incoraggianti da parte della low FODMAP rispetto agli altri approcci o rispetto a terapie con probiotici o alimentazione standard. In particolare le statistiche ci dicono che la dieta elaborata dalla Monasch University ha un’efficacia del 70%. Nulla vieta, nel caso in cui questo regime alimentare non funzionasse, di provare con altre soluzioni anche combinate.

Diagnosi e “fai da te”

La sindrome dell’intestino irritabile non è un disturbo che viene auto-diagnosticato. Fondamentale è infatti la figura del medico nell’individuazione dei sintomi e nell’escludere altre patologie attraverso una diagnosi differenziale. Qualora ciò sia stato fatto, è consigliabile recarsi da uno specialista della nutrizione (come il medico stesso) che individui l’approccio corretto da applicare alla persona. Esistono diversi sotto-tipi di low FODMAP e ciascuno può essere adattato su misura alle esigenze e caratteristiche dei singoli pazienti. Il fai da te, soprattutto in questo caso, può essere inefficace come anche controproducente.

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Fonti

Manning et al, Therapy of IBS: Is a Low FODMAP Diet the Answer?, Front. Psychiatry, 31 August 2020, Sec. Psychological Therapy and Psychosomatics, https://doi.org/10.3389/fpsyt.2020.00865

Jacqueline S Barrett, How to institute the low-FODMAP diet, J Gastroenterol Hepatol,  2017 Mar;32 Suppl 1:8-10. doi: 10.1111/jgh.13686.

Monash University: low FODMAP